Il mare d'inverno
Prima uscita per la seconda sezione locale di Poster. Questo è Poster#Venezia, uno spazio di approfondimento e cultura sulla città lagunare.
Testo e foto di Benedetta Panisson
«Il mare d’inverno è un concetto che il pensiero non considera», canta Loredana Bertè in Il mare d’inverno. Invece in molti popoli di mare che vivono varie temperature e tonalità dell’acqua, il mare d’inverno non è solo un concetto che la mente scarta a priori, ma lo spazio per una pratica corporea. Di quelle che poi ti fanno sentire talmente bene dal non poterne più fare a meno. Una sferzata vitale, abbassamento dei regimi corporei, svuotamento della mente. È così che la pensa Fulvia, veneziana, 86 anni: «quando è arrivata la fine della stagione della spiaggia, io non ho smesso di nuotare, ho continuato a settembre, poi c’è stato un bel novembre, con molto sole, e poi ancora a dicembre e gennaio. Ho scoperto che l’acqua rilascia il calore lentamente, a quel punto non ho più smesso. È meraviglioso. Sento che il mare è parte di me». Dal momento in cui Fulvia non ha più smesso sono passati 35 anni. «Mi piaceva, è diventato come una droga, perché quando non avevo possibilità di andare, stavo proprio male».
Fulvia è in spiaggia, avvolta nel caigo (la nebbia ndr) più fitto dell’anno, in mattina di fine febbraio. È stata - tra i suoi altri lavori - una bagnina dell’hotel Excelsior, «ma in venexian se dize bagnina dei cessi», e ride tantissimo; scherza su tutto, seduta sulla diga dismessa, lì dove d’estate si riversa lo star-system del cinema durante il Festival. Conosce benissimo ogni lato di quello stabilimento.Fulvia ha una forza avvolgente e trasmette la voglia di non smettere mai di praticare ciò che ci dà piacere. Neppure per un giorno, neppure in un nebbioso giorno d’inverno. Fulvia manifesta questo godimento con una tale leggerezza, difficile da immaginare per una donna che ha vissuto le sue epoche. Un mondo in cui il piacere del corpo femminile non era oggetto di conversazioni, il che sottolinea come le sue nuotate siano un’intima forma di assoluta libertà. Fulvia si immerge nel mare, e basta. A guardarla con l’occhio della modernità sembra incredibile come sia vicina alla pratica del cosiddetto pleasure activism, considerato che anche nella società attuale di consumi e di diletti, quello del piacere delle donne, in senso intimo ed esteso, sia ancora oggetto di un dibattito aperto. Non per Fulvia: «nuoto da diga a diga, non so quanto è, io conto 500 bracciate». Detto da questa donna vestita di azzurro: «500 bracciate», d’inverno, da sola, ogni giorno, diviene il metro di misura di forza e bellezza. È inevitabile pensare quanto troppo poco parliamo delle donne di mare, della relazione tra corpo femminile e cultura marittima, in questa spiaggia monocroma, avvolta nella nebbia che tutto copre e tutto amalgama in un limbo bidimensionale, in cui gabbiani, carghi, boe, orizzonte, spariscono come il corpo di Fulvia che entra in acqua. È sempre “un lupo di mare” a riempire i nostri esotismi, invece in questo angolo di Excelsior, le capanne smontate, le dune contro le mareggiate, il cemento della diga, è il corpo di una donna di mare a riempire il nostro immaginario, e le sue inarrestabili 500 bracciate.
Immergersi nel mare d’inverno, a corpo nudo, è un’azione che si attribuisce agli atleti e alle atlete di nuoto in acque libere, a personalità coraggiose, a chi ha sempre una lieve sensazione di calore addosso. Il Lido di Venezia d’inverno, più che a una landa desolata, ricorda invece le spiagge di Los Angeles, ma fredde: c’è una parte di popolazione veneziana, e di tutto l’estuario veneziano, che si dedica a una lunga serie di azioni che caratterizzano la profonda relazione di questa comunità con il mare, profondamente legata al benessere corporeo. C’è chi corre, chi si allena, chi passeggia mano nella mano con i guanti, chi fa yoga, chi cerca conchiglie, teenager raggomitolati, turisti che stufi dei turisti vanno a godersi l’apertura dell’orizzonte adriatico; c’è chi libera i cani, che esprimono la loro gioia incontenibile nel fenomeno definito frap, frenetic random activity periods (detto in italiano: correre in tondo rapidissimi, la lingua fuori, gli occhi spiritati, attraversati da una evidente euforia). C’è da chiedersi se chi fa il bagno nel mare d’inverno, che a gennaio a Venezia si aggira intorno ai 9 gradi, provi una sensazione del tutto simile alla frap, una vitalità euforica che dalla pelle attraversa ogni millimetro del corpo, senza bisogno di correre in tondo. Erroneo dunque pensare che il piacere si leghi solo al calore.
C’è uno storico gruppo, a Venezia, che si tuffa in mare d’inverno. Per divertimento, per mettersi alla prova, sentirsi forte, godere, per capire il bluescape, anche quando questo raggela la vista: sono gli Ibernisti. Gli “Ibernisti”, che si potrebbe pensare parola internazionalmente intesa, the hibernists, è invece conio veneziano. A raccontarlo fu Giorgio Pecorai, uno dei fondatori del gruppo: «gli Ibernisti non sono coloro che fanno il bagno nel mare d’inverno. Gli Ibernisti sono coloro che fanno il bagno nel mare d’inverno a Venezia». Precisazione dovuta. Il gruppo degli Ibernisti nasce nel 1979, fondato da Luciano Frusi, identificato come l’ibernista numero uno - Giorgio Pecorai, numero due, e Paolo Rizzi, numero tre - con la volontà di riaffermare, anche in fase invernale, l’amore della comunità veneziana per il mare, attraverso una sciompa (diremo un tuffo, nda) il primo di gennaio, seguito da cotechino, vino e lenticchie per tutti coloro che ne hanno preso parte. La festa calorosa in un clima freddo si svolge nella zona dello stabilimento bagni del Blue Moon, al confine del Des Bains, verso le 11 di mattina. Vantano, già dalle prime edizioni, di avere avuto una larga adesione sia di uomini che di donne. Fulvia invece racconta di avere svolto decine di mestieri, di avere un figlio, di avere scelto - un poco per vergogna, un poco per scelta di libertà - di preferire al gruppo copioso degli ibernisti, a cui è comunque molto affezionata, di nuotare da sola, davanti alla sua spiaggia, quella di fronte all’Excelsior. «Voglio essere libera, di andare all’ora che voglio, stare quanto tempo voglio. E se non vado è come se mi mancasse qualcosa. È proprio meraviglioso. Mio figlio mi chiede se ho freddo e io gli rispondo che se avessi freddo mi vestirei. Non c’è nessuno che mi costringe ad andare in acqua».
La spiaggia che la circonda è lontana dall’immaginario da Festival del Cinema, dal lusso dello stabilimento, dalle capanne della prima fila. Questo è un limbo senza orizzonte, senza inizio, senza fine. Per un istante, Fulvia è fuori dallo spazio-tempo, fuori dalla storia cinematografica, fuori dagli immaginari esotici che hanno reso questo Lido la perla dei Grand Tour da fine Ottocento. È una storia minore, femminile, di vita di spiaggia. Fulvia racconta che fare la bagnina era faticoso e divertente insieme: «devi pulire le docce, devi pulire i bagni, devi stare attenta che i ragazzini non si facciano male. Invece siccome io li lasciavo fare anche perché mica i gavettoni potevano farseli a casa? Erano simpaticissimi. Erano tutti miei amici».
Fulvia si spoglia, toglie le scarpe, sfila il maglione azzurro, resta in costume intero, anche questo azzurro. «D’estate vieni in spiaggia, e fai tutta la stagione. Quando è finita, sai cosa fai? Tu continui, e vedrai che ti abitui anche tu. Perché poi è una cosa che viene da sé. Perché non senti più l’acqua. Lo fai e basta». È un sottile insegnamento corporeo di cultura del mare, di un corpo femminile, che fa venire freddo, quello interiore, all’idea che possa svanire. Fulvia volta le spalle, alla spiaggia, alle dune, ai tronchi degli alberi sull’arenile, e lentamente entra nel mare, sparisce nella nebbia. 5,6,7…10 minuti, in cui Fulvia è con Fulvia, e con il suo mare. Quando riemerge, ancora grondante di gocce che sembrano ghiaccio, risponde silenziosa, con un incontenibile, irresistibile sorriso, socchiudendo gli occhi, aprendo il petto. Non sentire più il corpo, e non fermarsi mai.
Tutte le fotografie di questa pubblicazione sono di Benedetta Panisson, dalla serie "Il Mare d'Inverno", 2024-in progress, fotografie da pellicola, dimensioni variabili.
Benedetta Panisson (Venezia, 1980) è artista visiva e lavora con fotografia in pelliccola, video e live performance. Intreccia la pratica artistica alla ricerca accademica. La sua ricerca è focalizzata sugli immaginari erotici e sensuali negli spazi insulari e oceanici, con un particolare interesse per le produzioni fotografiche legate alla vita erotico-sessuale di comunità marittime umane e animali. Tra i vari progetti, sta lavorando a un corto sugli ibernisti veneziani e sulla relazione della comunità con il mare invernale. In Italia è rappresentata dalla OPR Gallery di Milano, ed è attualmente impegnata in una ricerca di dottorato presso Durham University (UK). Ha partecipato a mostre in musei e gallerie internazionali, come ad esempio il Museo TEA, Canarie, la Galleria Riccardo Crespi, e l’Onassis Cultural Centre di Atene, e collaborato con istituzioni e progetti internazionali, come Contingent Movements Archive (Padiglione delle Maldive della 55ma Biennale d’Arte di Venezia), Cambridge University, UNESCO/Coal Prix, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, International Sarajevo Winter Festival, Università Ca’ Foscari, per citarne alcuni.
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Essere attivisti per il diritto alla casa.
Abbiamo seguito un’azione notturna di attacchinaggio degli attivisti per il diritto alla casa di Venezia e posto a uno di essi (che ha preferito restare anonimo) alcune domande.
Intervista e fotografie di Patrick Tombola
Come e perché si diventa un attivista per il diritto alla casa a Venezia?
Essere un "attivista" è un modo per mantenere e rafforzare la democrazia, perché quante più persone sono coinvolte attivamente tanto più le istituzioni politiche sono spinte ad essere più responsabili e trasparenti. C'è una differenza profonda tra chi oggi sostiene le locazioni brevi ad oltranza e chi dall'altra parte si batte per il diritto alla casa. Nel primo caso sono persone economicamente interessante direttamente alla faccenda, hanno un interesse personale e privato nel sostenere le loro istanze, nell'altro caso invece parliamo di un impegno non a favore di sé stessi o del proprio interesse personale ma per un bene collettivo, per garantire un diritto a tutte e tutti. Questa differenza è sostanziale.
Come ci si organizza per un giro di attacchinaggio a Venezia?
Credo che la cosa importante sia prima di tutto poter contare su un collettivo. Le azioni pubbliche sono il punto di arrivo di un percorso di elaborazione, sono la "fisicizzazione" di un pensiero, sono la voce e le gambe di una visione. Ovviamente ci sono molte cose pratiche da fare, bisogna sporcarsi le mani (e non in senso metaforico), consumare le suole delle scarpe. Bisogna dividersi i compiti a seconda delle capacità e delle disponibilità di ciascuno. E bisogna divertirsi nel senso che non c'è "rivoluzione" senza gioia, è importante trovare il modo di alleggerire l'impegno che sennò rimane solo la fatica e rischia di scivolare nel rancore. Anche una bottiglia di prosecco in questo senso aiuta.
Come scegliete il posto in cui appendere un poster o mettere un adesivo?
Direi che i poster devono essere in luoghi ben visibili e di passaggio, gli adesivi invece vanno messi lì dove c'è il "problema", dove si vuole portare l'attenzione.
Altri attivisti l’hanno fatto in varie città italiane, come cambiano i problemi e l’attivismo da città a città?
Alla base i problemi sono molto simili, noi ci siamo solo arrivati prima. La cosa più triste che sento dire dalle altre città è che loro non vogliono fare la fine di Venezia. Una cosa molto importante è cercare e creare connessioni, contaminarci, mutuare tattiche e strategie adattandole ai diversi contesti. Purtroppo, il turismo è ipertrofico, non esiste un turismo temperato, il turismo oggi trasfigura le città, trasforma i quartieri ed espelle i residenti. Quindi se i problemi sono simili anche le soluzioni sono simili: investire in politiche sulla casa a tutti i livelli, dall'edilizia residenziale pubblica, al social housing, alla limitazione dell'offerta di posti letto in locazione turistica finalizzata all'immissione di case nel circuito degli affitti per residenti.

La lista di Poster
In breve. Cosa è successo, sta succedendo o succederà in città. Se hai delle segnalazioni, sei un ufficio stampa o un nostro lettore scrivi a info@reversocollettivo.com
Giovedì 2 gennaio dalle 18.30, Karaoke da About con mercato, musica e cena.
Elisabetta Vedovato, graphic designer e art director, cura l’edizione di #OpenLab sul canale Instagram di Palazzo Grassi dal 4 al 6 gennaio Art Collection of Everyday Life, un workshop digitale in tre puntate in cui l’artista ci invita a fare del nostro archivio visivo personale una vera propria collezione d’arte, da condividere e pubblicare sui canali social.
Adotta un Vaporetto: asta, cena musica e danze per sostenere la manutenzione straordinaria del Vaporetto dell'immaginario. Domenica 5 gennaio presso il B&B Venezia naturalmente a partire dalle 18.30.
Fino al 12 gennaio: Christmas Party, mostra personale di Andrea Tagliapietra, curata da Silvio Pasqualini, alla galleria Blue Gallery di Venezia, in Campo Santa Margherita.
Il primo appuntamento della sesta edizione di Classici fuori mostra - Festival permanente del cinema restaurato (rassegna organizzata in collaborazione con La Biennale di Venezia e i docenti dell'Università Ca’ Foscari e dell’Università IUAV di Venezia) è con il film Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio (1972, 88'): mercoledí 15 gennaio alle 19.00 al Cinema Rossini, con l'introduzione di Michele Gottardi.
Andrea Pennacchi presenta il suo giallo Se la rosa non avesse il suo nome (Marsilio Editori, 2024), con protagonista un investigatore d’eccezione: Sir William Shakespeare: venerdì 17 gennaio ore 18.00 al Teatrino di Palazzo Grassi.
Dialoga con l’autore, lo scrittore veneziano Alberto Toso Fei.
Sognando a Piedi Nudi è la rassegna Bal Folk di danze popolari: domenica 19 gennaio dalle 17.45 alle 21.15 ad Argo16 con il live di Sanseveria e La Folqueria.
Poster è un progetto di Reversocollettivo.
Questa uscita è coordinata dalla direzione editoriale di Claudio Morelli
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